Kazuo Ishiguro - Non lasciarmi


Dopo aver finalmente visto il film:


rispolvero le mie riflessioni su un libro che ho letto qualche mese fa e che mi ha davvero colpita.
Allo stesso modo ha fatto anche il film, all'altezza del romanzo, rinnovandomi il dolore e l'angoscia per le vicende narrate!
Veramente un'opera toccante e che consiglio a chi ancora non l'avesse letta!




Il libro ci fa immergere fin dalle prime pagine in un'atmosfera sospesa e a tratti quasi opprimente. 
La narratrice, Kathy H., ricorda la sua vita ma lo fa seguendo una sorta di flusso di coscienza, come se il lettore fosse parte del suo mondo e ne conoscesse ogni aspetto. Non spiega, dà per scontato e questo fa sì che invece di ottenere risposte il lettore sia indotto a porsi domande. 
Io mi sono spesso chiesta da dove vengano questi ragazzi, che sono cloni in fin dei conti, come dice Ruth in un momento di rabbia. Dove sono nati? Chi li ha generati? Dove e chi li ha accuditi nel primissimi anni di vita?
Si dice che Hailsham, il collegio che li ospita immerso nella campagna inglese, sia un'istituzione privilegiata, ma solo nel finale ci viene spiegato brevemente il motivo. Questo fa comunque intendere che ci siano altri posti come il collegio ma meno prestigiosi. In questa prima parte del romanzo colpisce l'ossessione dei ragazzi per lo sviluppo della creatività. Si sentono tenuti a produrre ed eccellere nel lavori artistici e se non si è bravi, come Tommy, si è oggetto di bullismo e sgarbi.
Inoltre vige un'atmosfera tetra e claustrofobia dove non si può parlare liberamente perché sembra che chiunque sia in ascolto per sentire le confidenze degli altri.
Crescendo i ragazzi spesso fantasticano sui loro "possibili", ovvero le persone da cui sono stati clonati e sono anche spinti a cercarli, come nel caso del viaggio dei protagonisti nel Norfolk. Questa loro ricerca mi ha profondamente colpito ma credo che il loro essere cloni, li renda  solo fisicamente uguali ai loro "possibili", nell'animo sono persone uniche che di certo non seguirebbero le scelte di vita dei loro "originali".
E' crudele il motivo per cui sono stati creati e cresciuti, ciò toglie loro i sogni e le ambizioni perché fin da piccoli sanno che non potranno mai avere figli, una famiglia, un lavoro, una vita normale. E' per questo che hanno sempre questo anelito verso la vita, perché coltivano e custodiscono sogni facendo finta che ciò possa realizzarsi, come nel caso di Ruth e la sua speranza di lavorare un giorno in un ufficio.
La loro è una completa depersonalizzazione, non hanno genitori, parenti, devono stringersi gli uni agli altri per andare avanti e ciò è evidenziato anche dal non avere un cognome ma solo una lettera maiuscola puntata.
Il luogo dove vengono mandati dopo il collegio, i Cottages, mette in mostra ancora di più la loro solitudine. I Cottages sono descritti come una grande fattoria completamente in disuso, fredda, fatiscente, dove i ragazzi si arrabattano per sistemare le cose in qualche modo. Qui non ci sono più i tutori, solo una specie di fattore che si reca da loro di tanto in tanto, che li tiene a distanza e sembra provare avversione per loro e il lavoro che si trova costretto a svolgere. Nessuno li rassicura, dà loro spiegazioni, così i loro dubbi e timori crescono esponenzialmente, le dicerie si moltiplicano. Tutto ciò che fanno è riflettere sulla loro condizione e ciò li porta a tensioni e discussioni come il litigio che allontana i tre protagonisti. 
Crudele è anche il ruolo di assistente, consolatrice dei donatori, che non viene mai spiegato veramente. Probabilmente devono assistere e far coraggio a chi si sottopone alle donazioni. E questo è ancora più penoso perché quando questo ruolo finirà, dovranno diventare donatori a loro volta.

Un libro sospeso, sussurrato, dove domina il non detto ma che tratta con uno sguardo originale e delicato un tema molto spinoso.

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