Rick Moody - Purple America (Rosso Americano), 1996

Rick Moody, un autore americano quasi sconosciuto da noi e il suo romanzo risalente al 1996.
Queste le mie impressioni in merito.

"La solitudine dei negozi notturni era anche la sua solitudine. La solitudine era il suo posto-macchina, il suo studio arredatissimo; la solitudine era quell'appartarsi che aveva costituito la caratteristica dei suoi và e vieni nell'ingiallita cornice dei ricordi, nel profondo dei suoi vent'anni e delle sbronze notturne a New York City, nel profondo della sua adolescenza, nel profondo delle istantanee di umiliazione dei suoi anni di bambino sovrappeso, persino nella sua infanzia, solitudine come lingua straniera…"




Questo non è un romanzo d'intrattenimento, uno di quelli che ammicca al lettore e gli promette pomeriggi di svago e sollievo, non è un romanzo escapista che ti proietta in un universo alternativo. Qui non c'è sollievo, la vita vera, quella della sofferenza, del dolore, degli sbagli, della malattie e delle indecisioni e' presente con tutta la sua potente forza. È un romanzo denso, teso, in cui ogni parola pesa come un macigno e che non va assaporato come un cocktail ma va letto piano perché le sue parole entrino in profondità. È un'avventura dolorosa e riflessiva che però consiglio vivamente a tutti perché credo che Rick Moody, autore americano contemporaneo, pressoché sconosciuto qui in Italia, vada letto almeno una volta se ci si considera dei veri e propri lettori. 

Il romanzo si svolge in un arco di tempo molto breve: poco più di ventiquattro ore nella vita del protagonista, Dexter "Hex" Raitliffe, che e' costretto a tornare nella sua cittadina di origine in Conneticut, per accudire la madre, Billie, gravemente malata e abbandonata dal secondo marito Lou Sloane. Sulla cittadina incombe l'incubo di una catastrofe nucleare provocata da un incidente nella vicina centrale nucleare,  dove proprio Lou lavora. 
Questi i fatti salienti. Se pero cercate l'azione scegliete qualche altra lettura perché questo è un romanzo della riflessione, del pensiero e della parola. Quello che accade è soprattuto interno ai personaggi, sono le loro fragilità, il loro modo di venire a patti con ciò che la vita gli pone davanti ad essere al centro delle pagine.
La catastrofe nucleare incombente non è solo fisicamente presente, è soprattutto una catastrofe interna ai personaggi, tutti sono alle prese con decisioni amletiche, spesso più grandi di loro stessi e verso le quali si sentono inadeguati. 

Dexter è un fallito completo. Egli non riesce a venire a patti con la sua adolescenza, con la morte prematura del padre, e il modo in cui la madre ha gestito il lutto. Questo sua inadeguatezza si esemplifica nella balbuzie che incombe su tutte le sue conversazioni e lo rende incapace di creare dei veri e profondi rapporti con le altre persone. Di più: egli poi è un alcolizzato, incline alla rissa e a mettersi nei guai, incapace di avere un rapporto amoroso equilibrato e stabile. Gli è difficile il pensiero di dover accudire la madre gravemente malata e si prende cura di lei in modo approssimativo ed inadeguato. Egli, anni prima, è scappato a New York pensando che la grande città potesse sedare i suoi problemi, mentre li ha solo ingigantiti. Ora, di ritorno nel paese natio, deve fare i conti con tutto ciò che ha lasciato in sospeso, la parentesi in città ha costituito soltanto un suo mettere la testa sotto la sabbia invece di affrontare i suoi problemi.

"a Hex Raitliffe le uniche parole che vengono facili da dire sono, in sostanza, parole di scusa. Raitliffe ipotizza, mentre scruta il dorso della mano materna, che probabilmente la sua prima parola da bimbo paffuto e apprensivo, prima di mamma, prima di papà , prima addirittura del nome della tata, sia stata: Scusa -  caratterizzata anche dal vantaggio di essere [...] facile da pronunciare. Scusa per cose commesse e cose non commesse, scusa quando appropriato, scusa quando inappropriato, scusa per ogni occasione, scusa per tutto…"

La madre Billie è una malata gravissima, ha una malattia neurologica che la rende praticamente incapace di muoversi e quasi di parlare. Ha bisogno di cure continue e fagocita chi la accudisce, la malattia cancella non solo la vita della donna ma anche quella di chi si prende cura di lei. Attraverso questo personaggio l'autore affronta il tema dell'eutanasia e della possibilità per il malato di scegliere il proprio destino e anche la propria morte nel caso in cui egli ritenga la vita non più dignitosa da essere vissuta.
La donna mi ha provocato una grande emozione, un "male al cuore" per il suo destino: una malattia atroce che le cancella la vita e la tiene prigioniera del proprio corpo, una corazza che non risponde più ai suoi comandi. 
Il suo corpo in decadenza si riflette metaforicamente nella sua casa, una grande villa in disfacimento dove i ricchi mobili sono stati venduti per far posto all'altezzatura medica e dove intere stanze sono lasciate da anni in uno stato di perenne cantiere. Quella casa incombe sui personaggi come una prigione, una tomba dalla quale non c'è modo di uscire.
Chi tenta di scappare da questo mausoleo di dolore è Lou Sloane, il secondo marito di Billie, che ha un momento di profonda e comprensibile crisi. Non si sente più in grado di accudire della moglie e si allontana, scappa sognando una vita spensierata e senza problemi. Il suo comportamento è discutibile ma anche comprensibile. È un uomo molto umano in un momento di scoramento e malessere.

"...colui che quindi abbracci la madre sentendo [...] che la propria vita è comunque la migliore delle vite, colma di cattive notizie e di buone, di pienezza e di penuria, di pena e di premio, di sacro e di profano, di maschile e di femminile, di presente e di ritorni al passato, colui che in tale istante di travaglio e rispetto, conosca il perché  del fiorire della rosa, del canto dei bicchieri di cristallo, della morbidezza delle labbra umane quando baciate, del soffrire dei genitori, egli non morirà mai."

Lo stile è un altro punto a favore di Moody. Ogni capitolo è diverso dal precedente, si alternano i punti di vista, uno racconta una parte della storia dal punto di vista di Dexter, un altro dal punto di vista della madre, del patrigno e così via fino ad arrivare ad uno dei capitoli che mi hanno più colpito, ovvero quello in cui la vicenda è raccontata come se fosse una cartella clinica e raccoglie le azioni dei protagonisti come se fossero registrati da un medico che bada più ai sintomi che non alle emozioni. 
Quello che nel complesso ne risulta è una grande prova d'autore che rende magistrale questo romanzo. Moody sa trattare la materia di cui parla, provocando nel lettore forti emozioni nonostante gli argomenti difficili e dibattuti di cui tratta.

Per finire, una nota alla traduzione italiana.
Nel passaggio dall'inglese all'italiano c'è un cambiamento fondamentale nel titolo: il colore porpora del titolo originale "Purple America" viene sostituito dal rosso di "Rosso americano". Credo che il titolo americano centri di più il nucleo del romanzo, ovvero la sofferenza umana, l'inadeguatezza dell'uomo, simboleggiati proprio dal porpora: il colore dei pesanti tendaggi e del mobilio che arredano la casa prigione delle origini di Dexter. Un colore che simboleggia l'oppressione ela malattia, temi centrali del romanzo. 
Nella traduzione italiana l'accento si sposta sul rosso che forse può far riferimento al sangue, alla malattia, al dolore, ma in modo più sfuocato.

"Romantico è un locale male illuminato, il bowling dei nottambuli; romantici sono i supermercati, i luoghi di villeggiatura in inverno, le strade principali deserte. Il romantico è nel cuore delle persone che hanno abbandonato ogni speranza di romanticità…"

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