Classici da riscoprire #2: Victor Hugo, L'uomo che ride (1869)

"I chicchi di grandine colpiscono, bersagliano, pestano, assordano,schiacciano; i fiocchi di neve fan di peggio. Il fiocco inesorabile e mite compie l'opera sua in silenzio. Se si tocca, fonde. È puro come l'ipocrisia è candido. È con biancori lentamente sovrapposti che la falda arriva alla valanga e il furbo al delitto."


Se negli ultimi mesi del 2014 non ho scritto niente e non ho dato indizio su quanto stessi leggendo è principalmente perché ero immersa nella lettura di due libri molto corposi che hanno assorbito il mio poco tempo libero. Uno di questi due libri è questo classico, bellissimo e difficile insieme. In ogni caso, da riscoprire.
Per me, neofita della letteratura francese (lo so, è una grave lacuna che sto tentando di colmare!), Hugo è diventato un autore imprescindibile, una vera passione che mi ha folgorato all'inizio dell'anno scorso dalle pagine di "Notre Dame de Paris" (qui la recensione). Volendo conoscerlo meglio, ma temendo di affrontare un tomo voluminoso e complesso come "I Miserabili", mi sono buttata su quest'opera meno celebrata, affascinata dalla sua trama e invogliata dalle parole di una booktuber che seguo molto volentieri e che fa recensioni molto dettagliate, precise, intelligenti. (qui il video)

Dopo aver chiuso questo mio secondo romanzo di Hugo, la parola che mi viene in mente per definirlo è iperbolico. Hugo è esagerato in ogni suo elemento, è eccessivo, nella lunghezza delle sue opere, nel gusto della parola, del racconto barocco ed esagerato, nelle passioni travolgenti e sempre sopra le righe. Tanto per darvi un esempio: l'uomo che ride entra nel vivo ben dopo la metà, per tutta la prima parte il lettore anela a conoscere i protagonisti ma questi gli appaiono sempre in episodi sparsi, inframmezzati da lunghissime digressioni che, se da un lato sono perfino snervanti, dall'altro creano una sorta di "sete" di sapere cosa accadrà loro; ed è questa "sete" che ti spinge ad andare avanti affrontando diversi ostacoli come l'enumerazione di tutti i principi e signori d'Inghilterra (!!!), la minuziosa conformazione morgologica della penisola di Portland o un'intera sezione dedicata alla Matutina, una nave in balia della tempesta che, nonostante serva all'economia del romanzo, mette a dura prova la pazienza del lettore medio.

Come si fa però a non innamorarsi del protagonista Gwynplaine? 
Come non infatuarsi dell'eterea Dea? Del burbero Ursus e di Homo, il lupo che veglia su di loro?

E così arrivo a tratteggiare un po' la trama:
In una notte d'inverno sulla costa inglese spazzata da una terribile tempesta di neve, un bambino, Gwynplaine, viene abbandonato da una banda di comprachicos, delinquenti dediti al commercio di esseri umani. Egli è sfigurato in volto da una orribile cicatrice che lo costringe ad un ghigno perenne e lo deforma rendendolo un fenomeno da baraccone. Grazie alla sua tenacia e all'incoscienza della sua giovane età riuscirà a salvarsi. Lungo il cammino verso un villaggio salverà da morte certa anche una neonata cieca, Dea. I due troveranno rifugio nella carovana di un filosofo e artista girovago, Ursus, che vive di espedienti in giro per l'Inghilterra insieme ad un lupo addomesticato di nome Homo. Il ghigno di Gwynplaine faranno la fortuna del piccolo gruppo che riuscirà a diventare famoso e ad avere un posto fisso a Londra. Ma Gwynplaine scoprirà anche il vero volto della capitale inglese e verrà scaraventato dalla semplicità del suo carrozzone, alla crudeltà della nobiltà inglese in seguito ad una serie di avventure e coincidenze rocambolesche e avventurose al limite del possibile.

Nei personaggi del romanzo si mescolano bene e male, alto e basso, miseria e nobiltà in un susseguirsi di eventi. L'alto e il basso però non si mescoleranno mai, nemmeno in modo accidentale, i personaggi hanno ruoli ben definiti e chi è malvagio non si riscatta, rimane perennemente chiuso nel suo guscio di malvagità, così come i buoni restano tali fino alla conclusione. 
Hugo veicola il messaggio che la vera felicità, l'amore, i sentimenti positivi risiedano tra coloro che vivono più umilmente, esemplificati dall'universo del carrozzone degli artisti, la Green-Box, a cui appartengono appunto Gwynplaine e Dea. 
La corte, opulenta e ricca, è invece il luogo della depravazione e dell'inganno, dove non esistono valori ma solo doppi giochi, sopprusi, voltafaccia, malvagità. L'empità investe tutti, da uno dei personaggi più negativi che abbia mai incontrato, l'infido cortigiano Barkilphedro che gode nel fare il male con un gusto fine a se stesso, fino alle più alte cariche, fino alla stessa regina Anna.

Come non amare invece tutti gli abitanti della Green-box? 
Ursus, da burbero e solitario filosofo girovago si trasforma in amorevole padre dei due orfanelli. Volendo solo il bene per loro arriva perfino ad inscenare un finto spettacolo per salvaguardare la delicata Dea e non farle sapere che Gwynplaine non è più con loro nella scena piu commovente e tragica dell'intera opera.

"Il vecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella rovina. La loquacità del ciarlatano, la magrezza del profeta, l'irascibilità di una mina carica, questo era Ursus."

Dea è la purezza, la donna angelicata e intoccabile, la quintessenza della bontà, dell'innocenza. I suoi occhi ciechi sono il simbolo di come un occhio che non vede sia l'unico capace di scrutare oltre le apparenze e amare colui che tutti definiscono "mostro", ma che è tale solo esteticamente. 

Gwynplaine è uno dei personaggi più straordinari che io abbia mai incontrato in tanti anni da lettrice. Costretto ad un ghigno perenne e a far ridere gli altri con la sua faccia, è un'anima tormentata e tragica, dilaniata dalle sue emozioni. È l'esempio di come un'anima bella si nasconda dietro una maschera di dolore, dietro un freak di cui il pubblico vede solo l'esteriorità. 
Egli è immenso, in ogni gesto o parola e la sua parabola è quella dell'uomo che sale tutti i gradini sociali per scoprire infine che la vera felicità consiste nell'avere poche cose materiali ma possedere l'amore vero, quello che lega lui e Dea.
Non dimentichiamo poi che, proprio Gwynplaine ha ispirato personaggi del nostri attuale immaginario, come il Joker di Batman o il Corvo dei fumetti e del famoso film! 

"La natura era stata prodigalmente benefica con Gwynplaine. Gli aveva fornito una bocca che si apriva fino agli orecchi, orecchi che si ripiegavano sugli occhi, un naso deforme fatto apposta per sostenere le oscillazioni degli occhiali di chi fa smorfie, e un viso che non si poteva guardare senza ridere.
[...] Ma era stata proprio la natura?
Non era stata anche aiutata?
[...] Ma il riso è poi sinonimo di gioia?" 

"Egli era l'Uomo che Ride, la cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angoscia pietrificata in ilarità, sosteneva il peso di un universo di disgrazie, ma era murato per sempre nella giovialità, nell'ironia, nel divertimento altrui; egli condivideva con tutti gli oppressi, di cui era l'incarnazione, l'atroce destino di una desolazione non presa sul serio; si scherzava con la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da uno spaventoso concentrato di sventure, un evaso dal bagno penale, divenuto Dio, salito alle profondità del popolino fino ai piedi del trono"

L'uomo che ride è un libro d'altro tempi, che richiede al lettore un immenso sforzo e tanta pazienza per farsi strada tra i suoi infiniti monologhi, tra digressioni che sembrano non portare da nessuna parte; nonostante questo, dategli una possibilità, tenete duro e non ve ne pentirete. Arriverete in fondo sfiniti, squassati nell'animo, in balia delle onde proprio come la Matutina nella tempesta di neve, ma avrete letto un grande classico ottocentesco che porterete per sempre nel vostro cuore!



Commenti

Post popolari in questo blog

Dal libro al film: Sebastian Barry - Il Segreto

Daphne Du Maurier - Mia cugina Rachele (1951)

"Bellezza è terrore. Ciò che chiamiamo bello ci fa tremare." Donna Tartt - Dio di Illusioni