Paolo Cognetti - Le otto montagne

Nel mio personale e poco popolato universo letterario italiano Paolo Cognetti ricopre certamente una posizione abbastanza alta.
E' risaputo che la letteratura italiana contemporanea non mi faccia impazzire, ma per Cognetti, o almeno per quanto ho letto di suo finora, faccio volentieri un'eccezione.
Cognetti ha un modo semplice, eppure molto profondo, di scrivere storie che ti fanno sentire parte del mondo di cui parla, ti sembra di essere lì e viverle davvero. "Sofia si veste sempre di nero" era stato uno dei migliori libri letti in un'annata di letture deludenti; di più: mi aveva "costretto, ma in modo piacevole, ad avvicinarmi ai racconti, un altro dei miei demoni (perché no! Ai racconti non riesco proprio ad appassionarmi! Salvo poi rimanere incantata dal suo romanzo di racconti!!).

"Le otto montagne" costituisce il primo romanzo vero e proprio dello scrittore milanese e mostra che bel percorso narrativo e stilistico egli stia facendo e quanto abbia ancora da dire e da regalare al mondo letterario italiano.
Il romanzo parla dell'amore dell'autore per i monti, di amicizia e del difficile rapporto tra un padre e un figlio. Insomma, Cognetti riesce a condensare in pochissime pagine (il romanzo è breve e se siete lettori più veloci di me, riuscirete forse a leggerlo in un'unica sessione) tanti tempi importante trattati con profondità e in modo così delicato da farvi spuntare una lacrima all'angolo dell'occhio senza quasi che ve ne accorgiate.

Pietro è figlio di montanari, una coppia originaria del Trentino, che si è trasferita a vivere a Milano. Per loro il richiamo della montagna è ancora forte, così decidono ci passare le estati in un pugno di case arroccate sul Monte Rosa, in Val d'Aosta, per conoscere montagne diverse da quelle che hanno conosciuto da ragazzi.
Pietro, che in realtà è un cittadino fatto e finito, per tutta l'infanzia vive con insofferenza l'attaccamento dei genitori alle montagne e segue il padre svogliatamente nelle escursioni. Fino a che non conosce Bruno, un ragazzo che in montagna ci vive e si lega a lui di un'amicizia profonda ed importante.

Le pagine più belle del romanzo sono quelle che raccontano dell'infanzia dei due ragazzini e dei loro giochi a ridosso del ruscello e nelle baite abbandonate.

La storia delle "otto montagne" è anche un racconto fondato sul silenzio e l'assenza.
Silenzio e incomprensione tra Pietro e il padre e tra Pietro e Bruno.
Pietro si allontana sempre più dal padre che non riesce a capire, un padre che sente sempre più lontano e che scoprirà solo da adulto. E il momento in cui Pietro adulto cercherà di ripercorrere le escursioni fatte dal padre alla ricerca dell'essenza stessa del genitore incompreso credo siano anch'esse bellissime.
Pietro crescendo fatica anche a trovare la chiave di volta per far crescere l'amicizia che prova nei confronti di Bruno. Paradossalmente si sente più vicino all'amico e alle montagne che lo hanno visto crescere solo quando sarà su altre montagne, dall'altro capo del mondo. Sarà la distanza a fargli capire come quell'amico burbero sia necessario alla sua crescita, perché i due sono felici solo quando stanno insieme.

La montagna come luogo per ritrovare se stessi, spogliarsi degli orpelli superficiali della vita ed esaltazione dell'essenzialità dei rapporti più veri e profondi.
Questo è il romanzo di Cognetti.
Un romanzo che mi ha scosso così tanto, come una slavina, che dopo aver letto l'ultima parola mi ha tenuto in scacco per diversi giorni. Ho dovuto scendere faticosamente da quella montagna per riuscire a volgere lo sguardo altrove
e credo che una parte di me resterà ancora per un po' su quei monti in compagnia di Pietro e Bruno.

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