Dal libro al film: Sebastian Barry - Il Segreto

Oggi vi vorrei parlare di un libro che nei mesi scorsi ho letto quasi per caso, amandolo molto e del relativo film uscito proprio in queste settimane nelle sale.
Sto parlando di "Il segreto" dell'irlandese Sebastian Barry.
Non lo conoscete, vero? Il fatto è che questo libro e questo autore sono quasi sconosciuti qui in Italia e ingiustamente per giunta!
Il motivo? Per me risiede in buona parte in quell'infelice titolo italiano, identico ad una imbarazzante telenovela delle reti Mediaset. Come molto spesso succede il titolo originale, ovvero "The Secret Scripture", ci racconta molto di più su quanto stiamo per leggere.
È un romanzo che io ho iniziato in modo forse un po' troppo leggero trovandomi poi tra le mani un'opera densa, profonda, degna dei premi a cui è stato candidato.

Sebastian Barry è uno degli autori irlandesi più apprezzati. È figlio di una famosa attrice e ha iniziato la sua carriera come poeta e drammaturgo, passando alla fiction solo in un secondo momento. Sia "Il Segreto" (2008) che il romanzo precedente "A long long way" sono stati candidati al Man Booker Prize, premio dal quale attingo sempre a piene mani per le mie letture. "Il Segreto" ha poi vinto il Costa book of the year.
Scorrendo la bibliografia dell'autore ho notato che egli crea una sorta di mitologia dei suoi personaggi. Certi nomi che ho trovato nel romanzo tornano in modo ossessivo in altre opere, come se  stesse scrivendo la storia di una grande famiglia.
Un esempio: un personaggio secondario ma molto importante ne"Il Segreto è al centro di un romanzo precedente "The Whereabouts of Eneas McNulty" e leggendo altri plot summaries il cognome McNulty torna.

Il romanzo è costituito dall'intrecciarsi di due diari, o memorie, da qui il titolo, dei due protagonisti principali.
Roseanne è una donna di cento anni che vive da oltre sessant'anni in un manicomio, ormai fatiscente e che deve essere demolito e i pazienti spostati altrove.
Chiusa nella sua stanzetta Roseanne scrive in modo lucido e chiaro le sue memorie, raccontando della sua infanzia, dell'amore per il padre e il legame da adulta con la famiglia McNulty, di cui sposerà uno dei figli. Ciò che ci vuole raccontare è cosa l'abbia portata ad essere rinchiusa nel manicomio.
L'altro diario è quello dallo psichiatra che da oltre trent'anni anni ha in cura Roseanne, il dottor Grene. L'uomo, in vista dello spostamento dei pazienti, deve decidere chi può essere dimesso dall'ospedale e chi no, perché nel nuovo ospedale ci sono meno posti. Il caso di Roseanne in particolare lo preoccupa.

I due diari hanno una profondità e una pregnanza che si trova solo nei grandi capolavori.
Il dottor Grene proprio attraverso lo studio di Roseanne finisce per guardarsi dentro e scrivere di sé stesso, delle sue paure e di ciò che lo fa soffrire.
Il diario di Roseanne va molto più in là: oltre a tratteggiare la storia personale e molto dolorosa di una donna estromessa dalla società civile da coloro che avrebbero dovuto proteggerla, parla della stessa storia irlandese e del periodo a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale, della guerra civile irlandese, delle lotte per diventare una repubblica e dello scontro costante tra cattolici e protestanti.
È un racconto storico a tratti difficile da capire e spesso ho dovuto ricorrere a Wikipedia per capire ciò che stavo leggendo.
E' inoltre importante tenere in considerazione il fatto che quello che leggiamo è il racconto di una donna molto anziana, che filtra gli avvenimenti attraverso il suo punto di vista, e non è sempre che quanto ci viene raccontato sia vero. Spesso si salta dal presente al passato, si parla di un personaggio e poi improvvisamente si fa riferimento ad un altro.
In questo il diario di Roseanne costituisce il nucleo pulsante del romanzo e ci porta spesso a domandarci se quello che racconta soprattutto quello che riguarda le sue vicende personali sia effettivamente successo o sia l'allucinazione di una mente malata.

Il romanzo è tutto riflessivo e psicologico, apparentemente non succede assolutamente nulla. L'azione è tutta interiore.
Il linguaggio di Barry è degno dei premi a cui è stato candidato e piacerà a coloro che amano la narrativa europea contemporanea matura e consapevole.

Ma parliamo ora della pellicola tratta dal romanzo: un piccolo tesoro, un drammone da consumarsi nel buio di una sala cinematografica pressoché deserta come è successo a me.

Il cast è di alto livello: Roseanne, il cui nome è semplificato in Rose, è interpretata da Vanessa Redgrave nella sua versione anziana, e da Rooney Mara (di una bellezza sconvolgente) da giovane.
Eric Bana è lo psichiatra che ascolta le memorie della donna.
Ci sono anche Theo James (er bistecca di "Divergent"), un odioso sacerdote cattolico, James Reiner, l'uomo amato da Rose, Aidan Turner, un uomo innamorato di Rose.
Il regista è il pluripremiato Jim Sheridan, autore di capolavori come "Il mio piede sinistro" e "In nome del padre", che, vociferano le riviste specializzate, soffra di fama un po' appannata.

Le riviste dicano pure ciò che vogliono, per me Sheridan ha fatto un gran lavoro sul materiale che aveva a disposizione. Non era facile rendere sullo schermo un romanzo incentrato su due diari, molto legato a fatti storici e politici. Egli sceglie di cambiare tutto, semplificando la storia per renderla più appetibile allo spettatore medio che probabilmente il libro non lo ha letto.

Tutto cambia ma la storia non viene snaturata, la pellicola va ad accostarsi al romanzo risultandone la sua raffinata appendice.
La storia di Rose, la ricerca del motivo per cui è stata rinchiusa, alla base del libro, sono il canovaccio su cui viene costruita la storia del film.
Viene scelta di tralasciare tutta la parte dell'infanzia e di concentrarsi solo sulle vicende amorose della donna, che riecheggiano il romanzo ma sono anch'esse diverse.

Qui Rose è l'oggetto del desiderio di un prete cattolico e proprio perché troppo bella viene rinchiusa in una casupola nei boschi dalla zia. E' qui che la ragazza salva un paracadutista della RAF e lo sposa in segreto.
Gli attori, in particolare le due protagoniste, sono davvero bravi. Gli occhi chiari di Vanessa Redgrave che guardano fuori dalla finestra della sua cella e chiedono che la sua storia sia finalmente ascoltata a creduta fanno stringere il cuore.

La parte più debole, qui come nel libro, risiede nel finale: un colpo di scena che ha un sapore stucchevole e prevedibile.
Però proprio per la sua prevedibilità da centro sullo spettatore amante dei drammoni e così mi ritrovo a soffiarmi rumorosamente il naso, ad asciugarmi una lacrima furtiva, darmi una sistemata e uscire nella luce abbagliante di un pomeriggio primaverile che stride bruscamente con la vicenda che ho appena visto.



Commenti

Anonimo ha detto…
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