Daphne Du Maurier - Mia cugina Rachele (1951)

RACHELE è una spietata calcolatrice o una donna sincera tutto istinto e sentimento?


Questa è la domanda che ci risuona in testa per tutto il tempo della lettura del libro di Daphne du Maurier.
"Mia cugina Rachele" è un romanzo bellissimo, profondamente mystery, decadente, a tratti gotico, tutto giocato sulla ambiguità della protagonista del titolo e dallo stile impeccabile.

Daphne Du Maurier, autrice che ho in progetto di approfondire e di cui avevo letto soltanto "Rebecca la prima moglie", ha prodotto capolavori letterari che hanno spesso ispirato il grande schermo, da "Gli uccelli" di Alfred Hitcock (uno dei miei preferiti del regista), a Rebecca, sempre dello stesso regista, fino al libro in questione, di cui sta per uscire una nuova versione cinematografica (una era degli anni '50, con Richard Burton e Olivia "Melania" De Havilland) con Rachel Weisz e Sam Claflin. (il trailer cinematografico qui)
L'autrice, figlia di due attori teatrali, era originaria della Cornovaglia dove lo stesso romanzo è ambientato; ritroviamo così le stesse ambientazioni dei romanzi di Winston Graham e anche qualche nome probabilmente tipico del luogo.

La storia è quella di Philippe Ashley, un giovane che, rimasto orfano, è stato allevato da suo cugino Ambrose, molto più vecchio di lui, che è diventato il suo modello, il suo mentore, l'uomo che lo ha plasmato a sua immagine e somiglianza. I due vivono nel piccolo ambiente chiuso e ovattato della residenza degli Ashley, una grande magione in cui manca completamente la presenza femminile e che sta diventando sempre più vecchia e in decadenza, orgogliosi di non avere donne tra i piedi e di non aspirare a sposarsi.
Questo finché Ambrose non inizia a viaggiare per trovare conforto da alcuni problemi di salute.
E' durante un viaggio in Italia che incontra la giovane vedova Rachele e la sposa.
Le lettere che scrive a Philip sono prima idilliache, da uomo adulto che, prima ignaro dell'amore, ora è caduto vittima di un sentimento a tratti quasi adolescenziale, nonostante l'età. Poi col passare del tempo si fanno sempre più allarmanti, lo stato di salute dell'uomo peggiora e ad a ogni missiva sembra perdere progressivamente la ragione, morendo poco dopo.
Philip parte per l'Italia ma quando arriva a Firenze è già troppo tardi: Ambrose è stato sepolto nel cimitero protestante della città e la moglie è partita per una destinazione ignota. Non gli resta che visitare la residenza dove lo zio è vissuto e la piccola e spoglia stanza dove è morto.
Come conseguenza delle lettere di Ambrose in Philip si è fatta strada l'idea che lo zio sia stato condotto alla morte dalla moglie.

Ma il sospetto corrisponde a verità? Rachele chi è? Un abile arrampicatrice sociale o una vittima dei deliri di un malato?
E Ambrose è stato davvero avvelenato oppure i suoi deliri erano dovuto al tumore al cervello che lo ha portato alla morte?

L'intero romanzo ruota attorno a questi interrogativi.
L'autrice continua a giocare col suo lettore al  gatto col topo e lo spinge a cambiare punto di vista ad ogni  pagina facendogli credere e vedere solo le cose dal punto di vista di Philip, il solo ed inaffidabile narratore.
Le cose si complicheranno ulteriormente quando Rachele deciderà di far visita a Philip per conoscere il parente e i luoghi d'origine di Ambrose. Le cose non potranno che precipitare irrimediabilmente.

Lo stile e romanzo sono entrambi magistrali, i personaggi perfetti.
La grande forza risiede nell'ambiguità dei protagonisti, nelle misteriose e decadenti ambientazioni, specchio dei una trama costantemente in biblico, dominata dal sospetto e dal non detto.
Dopo la luminosità della parte italiana tutta giocata sugli stereotipi del paese del sole e dello ozio (forse noi italiani non ne usciamo benissimo da queste pagine); le stanze buie e decadenti della residenza degli Ashley creano un clima claustrofobico e chiuso, perfetto per il romanzo. La magione avita dove domina la polvere, le stanze chiuse e inutilizzate, i tendaggi pesanti, i recessi segreti, le ombre, sono elementi che attingono a piene mani dalla letteratura gotica più classica e opprimono profondamente il lettore.

Altro elemento chiave è Philip, narratore inaffidabile. Egli è un ragazzino molto giovane e inesperto della vita, che ha all'ombra dello zio senza avere mai vere esperienze dirette, né nella vita di ogni giorno né nei sentimenti. Egli è del tutto impreparato a ricoprire il posto di Ambrose. Questa inesperienza lo porta ad esagerare ogni più piccola esperienza. Per lui Rachele è prima una donna spietata interessata solo ad arricchirsi alle sue spalle, e poi l'oggetto delle sue attenzioni amorose.
Tutto in lui è esagerato a causa dello esperienza e della giovane età! È come quegli adolescenti che vivono tutto a mille.

Dal momento che il lettore ha a disposizione solo il suo punto di vista, anche il metro col quale giudicare i personaggi e tentare di arrivare ad una conclusione oggettiva è impossible. In un continuo gioco di specchi ci si continua a chiedere chi sia davvero Rachele, se sia davvero spietata come più volte ci viene fatto credere o se invece sia un fragile giunco vittima delle circostanze.
E neanche la sbrigativa conclusione serve a fugare i dubbi: unico punto più debole del romanzo, sbrigativo e insoddisfacente, lascia con un senso di delusione, come se la Du Maurier si fosse sentita stanca della sua storia e avesse voluto chiedere n fretta.
Unico difetto in un opera altrimenti sensazionale!


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